è notte nella mia casa e siamo in estate
parte seconda e fine
indietro tutta a prima della ringhiera
e nella mia ringhiera di oggiL’unico proprietario ha venduto negli anni sessanta del secolo scorso, ha venduto a lotti creando pezzature varie dall’unione di due delle vecchie stanze uniche, o di tre al massimo, a ogni appartamento il suo bagno, i gabinetti pubblici ai piani e in cortile sono stati chiusi.
I nuovi proprietari hanno trovato vuota la casa di ringhiera, i vecchi inquilini sfrattati, tanto non avrebbero mai potuto acquistare la casa per sé, né avrebbero mai potuto pagare i nuovi affitti.
Dove sono andati?
Si sono persi nella grande Milano, quella sempre più periferica e lontana, qui è rimasta “la Milano da bere”, quella dei rampanti che è andata avanti fino agli anni ottanta.
E tu?
Oh, io sono arrivato tardi, era il 1972 di primavera.
Milano mi fece subito paura e un misto di meraviglia, di grandezza, di freddezza, di prepotenza, c’era anche un pienone d’umanità...
Ma sei entrato subito nella casa di ringhiera dove sei oggi?
No, no, mi conosci da quando andavamo a scuola, lo sai, m’è sempre piaciuta la vita avventurosa, mai fermo, sempre sulle strade...
Arrivai qui con mia moglie da Roma, c’eravamo sposati nell’autunno del 1969 in Campidoglio, lei aveva 18 anni e si sposò con il consenso dei genitori (la maggiore età era fissata ai 21 anni), io ne avevo 22, lei era milanese e io romano.
Quando decisi di cambiare aria, città, lei fu felice che andassimo a Milano, era la sua città e mi avrebbe facilitato la vita in un ambiente così tanto estraneo.
Abbiamo abitato a Baggio, a Lambrate, a Ortica-Città Studi poi a San Donato Milanese...
Fu l’ultima abitazione insieme, la lasciai nel ’975, non avevo ancora imparato a volerle bene veramente, era stato un sogno idealista, un malinteso romanticismo a farmi innamorare e a sposare quell’intelligentissima ragazza dagli occhi orientali che guardava così fiduciosa e determinata al futuro, veniva da genitori italiani, ebrei andati a lavorare in Egitto per conto di un’azienda petrolifera. Con la guerra di Suez contro Inghilterra e Francia anche gli italiani vennero cacciati e insieme ai genitori tornarono a Milano le tre figlie, una destinata a divenire mia moglie.
Non avemmo figli, alla fine la guardavo con angoscia perché avevo capito che l’avrei lasciata e che lei non avrebbe voluto.
E fu così.
Ma qui quando sei arrivato?
In questa casa di ringhiera dove ora sono a cena da te.
Sono venuto fino da Roma in treno, sono appena sceso e tu mi fai fare fatica a chiederti.
Piuttosto dovresti raccontarmi spontaneamente di tutti questi anni che non ci siamo più visti.
Ma sai, ogni racconto è un pezzo di vita che per quanto io abbia elaborato e sciolto dentro di me ha lasciato resti e nodi ancora da sbrogliare e non è che si tratti esattamente di felicità pimpante festeggiante ed evidente.
Dopo San Donato Milanese sono tornato a Milano, ho vissuto dapprima in zona Meda vicino ai due Navigli (il Grande e il Pavese), poi nel 1976 mi sono spostato al Giambellino (il quartiere della famosa canzone di Giorgio Gaber con il Cerutti Gino al bar di Piazza Tirana), dove nacque mia figlia, nelle case popolari perché la mia nuova compagna, un’altra milanese, era assegnataria di un alloggio popolare insieme alle sue prime due figlie nate da un matrimonio giunto alla fine dopo circa quindici anni.
In trentadue metri quadri vivevamo in cinque, andavo a lavorare e iniziavo a portare a casa i soldi, la michetta quotidiana, che piano piano bastò prima per quattro, poi per cinque quando nacque mia figlia dopo sei anni di convivenza.
Ero felice, raggiante, responsabile di una numerosa famiglia già a ventotto anni.
Cambiai ancora casa con la famiglia nel 1984 e stetti fermo fino al 1988.
Lasciai anche la madre di mia figlia.
Non tornai più a Milano se non per lavorare ogni giorno, scelsi di abitare fuori e del resto già con l’ultimo spostamento del 1984 ero andato vicino Milano ma fuori.
In più tappe mi allontanai sempre di più (aumentavano anche i chilometri dei viaggi di andata e ritorno con Milano per lavorare).
Dal 1993 al 2000 ho vissuto in una casa in un paesino di campagna in provincia di Cremona, c’era l’Adda, il grande fiume, i foraggi, i canali delle acque, la grande nebbia dell’inverno, le gelate, gli allevamenti di mucche da latte con il latte della migliore qualità d’Europa.
C’erano le cascine, le stalle, i trattori, le trebbiatrici alte quanto una casa...
Che cosa ti piaceva di più, tu che hai passato la vita dentro le grandi metropoli?
Tante cose mi piacevano, tante di quelle che viste da fuori e con pregiudizi nessuno s’aspetterebbe che possano piacere.
Una più di tutte mi piacque.
Una grande basilica romanica intatta costruita nei primi anni del primo millennio.
Era grande bella austera calda accogliente fresca superba, io sentii per la prima volta a che cosa mi sarebbero servite le alte volte di quella chiesa.
Mi avrebbero restituito quelle grida che lanciavo, le disperazioni di me diviso e lacerato.
Restituendomele, facendo tornare a me quelle grida, avrei potuto guardarle anche dall’esterno, meno paurose, piegate, incurvate... meno forti...
Avrei avuto un confronto con me stesso attraverso le mie grida non più sperse nei cieli.
Ma che cos’hai?
Ti sei come scurito in volto, stai soffrendo, sei preoccupato, sono venti minuti che non parli più, s’è fatto tardi, sei stanco, mi sembri come più invecchiato tutto d’un colpo, hai nuovi solchi e una smorfia nel viso, sei smagrito... che cosa c’è?
Ti senti male?
VUOI CHE CHIAMI UN MEDICO?
RISPONDIMI!!!
No, fai silenzio, ascolta anche tu...
Che cosa?
Ma non senti nulla?
Sì forse ora sì, forse è un grido, sono strilli, ora sento meglio... chi è?
Sembrerebbe una donna, certo è vero qui nelle case di ringhiera si sente tutto...
Ieri è la prima volta che ho dormito bene, sei ore, la prima volta in un mese...
Ma perché?
Perché ogni notte sento queste urla, questi strilli di disperazione, è una giovane donna che si dibatte nei suoi mali.
Ieri è partita, finalmente ho dormito.
Non riesco a stare in pace accanto al dolore che strepita, che scalcia, che si rotola...
Ma che cosa ha questa donna?
Non lo so, non lo so e questo è il tremendo, occorre uno sforzo sovrumano per accettare d’essere impotenti e di accompagnare da lontano mentre senti e capisci che miliardi di neuroni le surriscaldano il cervello e le bruciano tutte le energie residue...
Mi dispiace amico mio ma sei venuto a trovarmi nel momento sbagliato...
Non è vero.
L’amicizia non ha mai chiesto le comodità, l’amicizia s’accontenta di quello che trova...
Su, su, amico mio, tirati su il morale, andiamo a fare una passeggiata lungo i Navigli, tanto non riusciresti ad addormentarti restando qui e io almeno vedrò che cosa manca al Colosseo, due bei Navigli che l’attraversino...
andiamo, andiamo, dai...
ah, scordavo, nel 2000 lasciai il paesino dell'alto cremonese, tornai a Milano, andai a vivere in zona Risorgimento e nel 2004 sono andato dove sono ora, nella casa di ringhiera dove la mia compagna ha un piccolo appartamento (prima in affitto poi acquistato)...
Edited by angelo7878 - 11/7/2008, 12:49