03 dicembre 2007
Le due lettere del gialloPerizie calligrafiche e psicologiche sugli ultimi “messaggi” di Giordano TrentiSandra Coggio
Silva Collecchia
«Non so chi è stato ad uccidere Maurizio, ma io sono stufo di partecipare ai funerali dei miei cari. Mi dispiace darvi questo dolore proprio adesso che tra poco è il tuo compleanno e Lisetta deve festeggiare il suo titolo. Non ho rimpianti. Se tornassi indietro rifarei quello che ho fatto. Abbiamo costruito una bella famiglia. Due ragazzi meravigliosi che ora dovranno starti vicino. Sono in gamba e ti daranno tante soddisfazioni. Non piangetemi troppo. Sappiate che vado dai miei cari che mi mancano tanto. Vi voglio un mondo di bene. Vi amo».
E sotto, su quei foglietti anonimi, nemmeno una firma. Eccole, le parole scritte nell’istante prima del suicidio da Giordano Trenti - che fanno parte integrante del fascicolo aperto dalla Procura di Massa - l’uomo mite e taciturno di Arcola, sospettato d’aver ucciso a sangue freddo il suo più caro amico, spinto da insana passione verso la moglie di lui, Clara Maneschi. Già si sapeva che Giordano si era tirato fuori dal delitto, nelle ultime parole. Ora, si sa che oltre a dichiararsi innocente, l’uomo si era stretto ai suoi cari, alla moglie Nicoletta, ai figli Lisa e Matteo: chiamandoli ”eccezionali, meravigliosi”.
E in qualche modo, adesso che Giordano non è più in grado di spiegare quale sia stato il suo ruolo nell’intera vicenda, e non può più difendersi, la sua sola possibilità di ”parlare” ancora sta nei due foglietti lasciati uno accanto all’altro: che di fatto gettano l’ombra del dubbio sulla tesi di Clara, seconda moglie insoddisfatta del più caro amico, che addossa tutto a lui l’omicidio. «Noi cerchiamo oltre le parole di lei: non vogliamo commettere l’errore di indagare solo sugli elementi del suo racconto», afferma con decisione l’avvocato della figlie e del fratello di Cioni, Giuliana Feliciani.
E il capitano Antonio Ciervo, responsabile dell’Arma di Pontremoli, conferma che ”l’indagine è ancora in piena attività”: «Ci sono punti sui quali lavorare ancora». Il teorema della Maneschi, insomma, necessita di conferme. Se è vero che gli indizi messi insieme dai militari portano a Trenti, l’unica tragica certezza di questa brutta storia è che la sola a sapere come siano andate davvero le cose è la donna rinchiusa nel carcere femminile di Pisa, dal quale i difensori Andrea Corradino e Debora Cossu chiederanno possa uscire perché ”priva di pericolosità sociale”, attraverso un appello al tribunale del riesame. La sua verità, del resto, Clara l’ha detta solo quando Trenti era già morto: e si è descritta come vittima.
Lei che lo avvisa, sul telefonino ”dedicato” che usava solo per chiamarlo, della battuta di caccia del marito: ma in perfetta buona fede. Lui che la richiama, per dirle che ”ha fatto tutto”, a prova del suo amore. E lei che poi si libera del cellulare: lo getta via...«I riscontri sui telefonini dovranno e potranno dirci molte cose, fosse solo per avere qualche riscontro del racconto», sibila la Feliciani, che ha messo in moto un pool investigativo, esaminando al microscopio il teorema della Maneschi.
Perché non si può escludere nemmeno che Clara fosse lì, sul posto, o che avesse avvisato anche qualcun altro, quando qualcuno ha sparato a Maurizio: uno sparo ”secondo noi da più vicino rispetto ai 30 metri ipotizzati fin qui”, precisa l’avvocata, che ha voluto perlustrare di persona la radura dove Cioni è morto, anche per acquisire un ”dato storico”. Una radura impervia, cui si accede a fatica, superando tutte le case, a Pallerone: una radura in cui Cioni - habitué della Rocchetta di Lerici - non andava mai.L’assassinio, e il suicidio, non hanno fatto solo due vittime.
I figli di Giordano, e quelli di Maurizio, erano quasi cresciuti insieme. Ora sono prigionieri di un incubo, senza nemmeno lo sfogo di un movente vero. Cosa impediva a Clara, donna volitiva, di lasciare il marito, se si sentiva maltrattata? Cosa avrebbe spinto Trenti, mite, a tanta ferocia? E perché, prima del suicidio, non aveva confessato? Più passano i giorni, insomma, più emergono le incongruenze.
Si sa ad esempio solo ora, che per due volte, la domenica sera del ritrovamento del corpo di Cioni e il lunedì, i carabinieri avevano perquisito la casa di Trenti: era stato fin dal principio il primo, ovvio riferimento delle indagini. Come aveva potuto essere tanto ingenuo? E con quale cinismo avrebbe scritto ”vado dal mio amico Cioni”, dopo averlo ammazzato? Si parla, in questo senso, di un possibile studio psicologico e calligrafico su quelle lettere, in cui l’uomo decide di ”raggiungere i suoi cari”: fratello, madre, padre, morti in pochi anni. Accanto a loro è sepolto, in un’urna, dopo la cremazione. Ma intanto, prima che il corpo venisse incenerito, i carabinieri di Pontremoli hanno disposto il rilevamento delle impronte delle mani.
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estratto da qui