Pontremoli - Da Uomo a Uomo - Forse è andata così: Cara è tutto a posto, ora puoi essere felice, Tra i Boschi del Pallerone, Follo e Arcola il marito viene ucciso, l'aspirante amante si suicida

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angelo7878
view post Posted on 27/11/2007, 12:10






"Elimina mio marito e sarò
tua". Omicidio, poi suicidio


di Luciano Gulli - martedì 27 novembre 2007 ore 09:11


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Sono tragedie. Ma nel bel mezzo affiora il ghigno beffardo della commedia, un po’ Molière e un po’ Ionesco. Anche se nella fattispecie, i morti essendo veri, il riso finisce per essere un po’ amaro; e il farsesco, dopo un altro po’, vira nel dramma.

Vedrà il lettore che il canovaccio, fino a un certo punto, è piuttosto scontato. C’è il finto incidente di caccia, con un morto. E qui siamo nel classico. C’è un uomo, legato da amicizia e dalla comune passione venatoria al defunto, che si toglie la vita, anche lui con una fucilata. E qui siamo nel giallo. Poi c’è lei, la moglie del primo morto, che finisce con le manette ai polsi con l’accusa di aver istigato quello che non un incidente di caccia era, ma un omicidio premeditato. E qui, volendo, siamo di nuovo nel classico. È quando si scopre che il morto suicida era l’aspirante amante della donna (aspirante nel senso che lei gliela aveva fatta intravedere, negandogliela a servizio ottenuto, come ora raccontano con dissacrante e molto toscana ribalderia nei bar di Pontremoli) che la commedia degli equivoci vira nella tragedia shakespeariana.

Ma la sciarada dura lo spazio di poche righe.
Tutto comincia il 17 novembre, quando nei boschi di Pallerone, vicino ad Aulla (La Spezia) viene trovato morto, con un fucilata nel petto, tale Maurizio Cioni, quarantanovenne magazziniere di Follo, altro comune spezzino. Si disse: incidente di caccia. Forse un bracconiere, chissà. L’altro ieri, domenica, ad Arcola, lì vicino, si uccide con una fucilata nel petto Giordano Trenti, 50 anni, impiegato, moglie e due figli, amico e sodale del Cioni. Addosso, i carabinieri gli trovano un biglietto che avrebbe insospettito anche chi carabiniere non è. C’è scritto: «Io non so chi abbia ucciso Maurizio, ma questa cosa non riesco a sopportarla». Si va dalla moglie del primo morto, a questo punto. Clara Maneschi, così si chiama, resiste sei ore sotto il fuoco di fila di domande degli investigatori. Poi crolla. E racconta.

Racconta che con il marito Maurizio (padre di due figli avuti dalla prima moglie) il rapporto si era ultimamente deteriorato. Le aveva anche prese, in qualche occasione, lei; e di questo (e del malandare in famiglia, ormai insanabile) Clara si era confidata con l’amico di famiglia Giordano Trenti. Il quale essendosi nel frattempo innamorato della donna le promise che avrebbe pensato lui a sistemare la faccenda una volta per tutte. Se poi questa promessa sia venuta in cambio di un’altra promessa, o addirittura di un congruo anticipo del genere al quale state pensando (come giurano sempre nei bar di Pontremoli) non sappiamo. Sappiamo solo che il 16 novembre Clara chiama il Trenti per dirgli che il marito l’indomani sarebbe andato a caccia da solo. La vigilia i due uomini si incontrano a Vezzano Ligure, in un ricovero per cani dove la vittima teneva i suoi segugi. E il 18 scatta l’agguato nel bosco. Un colpo solo. Pallettoni da cinghiale. «Tutto apposto. Ti ho resa felice», le dice il Trenti al telefono.
Poi il rimorso, la sindrome di Raskolnikov, i pensieri devastati da un senso di colpa intollerabile. Rimorso impiombato, e reso infine insostenibile, anche dall’atteggiamento di donna Clara, che quando il Trenti le si presenta davanti, convinto di incassare il pattuito, lei lo guarda con freddezza, e all’ingrosso gli dice: «Scusa, ma a te chi ti conosce?». Ai carabinieri la donna confida: «Speravo che dopo averlo ucciso si costituisse».

Sono tragedie. Perché qui non c’è solo il rimorso per essersi lordato le mani del sangue di un amico (sempre che la storia risulti infine confermata. E i protagonisti che dicano il come e il perché non ci son più). Qui c’è anche la rabbia, il disdoro, la bruciante vergogna per essere stato gabbato come un grullo da una mantide di cui l’uomo non aveva neppure intravisto l’algida doppiezza. Difficile, in casi come questi, alzarsi volentieri al mattino. Nello specchio, uno vede solo un tipo a cui vien voglia di sparare un colpo.
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estratto da qui

 
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angelo7878
view post Posted on 4/12/2007, 14:33






03 dicembre 2007

Le due lettere del giallo

Perizie calligrafiche e psicologiche sugli ultimi “messaggi” di Giordano Trenti

Sandra Coggio
Silva Collecchia

«Non so chi è stato ad uccidere Maurizio, ma io sono stufo di partecipare ai funerali dei miei cari. Mi dispiace darvi questo dolore proprio adesso che tra poco è il tuo compleanno e Lisetta deve festeggiare il suo titolo. Non ho rimpianti. Se tornassi indietro rifarei quello che ho fatto. Abbiamo costruito una bella famiglia. Due ragazzi meravigliosi che ora dovranno starti vicino. Sono in gamba e ti daranno tante soddisfazioni. Non piangetemi troppo. Sappiate che vado dai miei cari che mi mancano tanto. Vi voglio un mondo di bene. Vi amo».

E sotto, su quei foglietti anonimi, nemmeno una firma. Eccole, le parole scritte nell’istante prima del suicidio da Giordano Trenti - che fanno parte integrante del fascicolo aperto dalla Procura di Massa - l’uomo mite e taciturno di Arcola, sospettato d’aver ucciso a sangue freddo il suo più caro amico, spinto da insana passione verso la moglie di lui, Clara Maneschi. Già si sapeva che Giordano si era tirato fuori dal delitto, nelle ultime parole. Ora, si sa che oltre a dichiararsi innocente, l’uomo si era stretto ai suoi cari, alla moglie Nicoletta, ai figli Lisa e Matteo: chiamandoli ”eccezionali, meravigliosi”.

E in qualche modo, adesso che Giordano non è più in grado di spiegare quale sia stato il suo ruolo nell’intera vicenda, e non può più difendersi, la sua sola possibilità di ”parlare” ancora sta nei due foglietti lasciati uno accanto all’altro: che di fatto gettano l’ombra del dubbio sulla tesi di Clara, seconda moglie insoddisfatta del più caro amico, che addossa tutto a lui l’omicidio. «Noi cerchiamo oltre le parole di lei: non vogliamo commettere l’errore di indagare solo sugli elementi del suo racconto», afferma con decisione l’avvocato della figlie e del fratello di Cioni, Giuliana Feliciani.

E il capitano Antonio Ciervo, responsabile dell’Arma di Pontremoli, conferma che ”l’indagine è ancora in piena attività”: «Ci sono punti sui quali lavorare ancora». Il teorema della Maneschi, insomma, necessita di conferme. Se è vero che gli indizi messi insieme dai militari portano a Trenti, l’unica tragica certezza di questa brutta storia è che la sola a sapere come siano andate davvero le cose è la donna rinchiusa nel carcere femminile di Pisa, dal quale i difensori Andrea Corradino e Debora Cossu chiederanno possa uscire perché ”priva di pericolosità sociale”, attraverso un appello al tribunale del riesame. La sua verità, del resto, Clara l’ha detta solo quando Trenti era già morto: e si è descritta come vittima.

Lei che lo avvisa, sul telefonino ”dedicato” che usava solo per chiamarlo, della battuta di caccia del marito: ma in perfetta buona fede. Lui che la richiama, per dirle che ”ha fatto tutto”, a prova del suo amore. E lei che poi si libera del cellulare: lo getta via...«I riscontri sui telefonini dovranno e potranno dirci molte cose, fosse solo per avere qualche riscontro del racconto», sibila la Feliciani, che ha messo in moto un pool investigativo, esaminando al microscopio il teorema della Maneschi.

Perché non si può escludere nemmeno che Clara fosse lì, sul posto, o che avesse avvisato anche qualcun altro, quando qualcuno ha sparato a Maurizio: uno sparo ”secondo noi da più vicino rispetto ai 30 metri ipotizzati fin qui”, precisa l’avvocata, che ha voluto perlustrare di persona la radura dove Cioni è morto, anche per acquisire un ”dato storico”. Una radura impervia, cui si accede a fatica, superando tutte le case, a Pallerone: una radura in cui Cioni - habitué della Rocchetta di Lerici - non andava mai.L’assassinio, e il suicidio, non hanno fatto solo due vittime.

I figli di Giordano, e quelli di Maurizio, erano quasi cresciuti insieme. Ora sono prigionieri di un incubo, senza nemmeno lo sfogo di un movente vero. Cosa impediva a Clara, donna volitiva, di lasciare il marito, se si sentiva maltrattata? Cosa avrebbe spinto Trenti, mite, a tanta ferocia? E perché, prima del suicidio, non aveva confessato? Più passano i giorni, insomma, più emergono le incongruenze.

Si sa ad esempio solo ora, che per due volte, la domenica sera del ritrovamento del corpo di Cioni e il lunedì, i carabinieri avevano perquisito la casa di Trenti: era stato fin dal principio il primo, ovvio riferimento delle indagini. Come aveva potuto essere tanto ingenuo? E con quale cinismo avrebbe scritto ”vado dal mio amico Cioni”, dopo averlo ammazzato? Si parla, in questo senso, di un possibile studio psicologico e calligrafico su quelle lettere, in cui l’uomo decide di ”raggiungere i suoi cari”: fratello, madre, padre, morti in pochi anni. Accanto a loro è sepolto, in un’urna, dopo la cremazione. Ma intanto, prima che il corpo venisse incenerito, i carabinieri di Pontremoli hanno disposto il rilevamento delle impronte delle mani.
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estratto da qui
 
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