Alitalia, il prestito ponte rafforzerà il patrimonioGiovedí 22 Maggio 2008
I contribuenti italiani possono dare ufficialmente l'addio ai cinque euro a testa (compresi neonati ed evasori) che erano stati costretti a "prestare" all'Alitalia il 5 maggio. Il cosiddetto prestito ponte da 300 milioni di euro, un prestito statale, verrà utilizzato per coprire le perdite della compagnia e per reintegrare il patrimonio netto ormai azzerato dalle perdite, come se fosse capitale.
Lo prevede una norma d'emergenza approvata ieri dal Consiglio dei ministri a Napoli, nel decreto legge fiscale. «Verrà fatto un utilizzo temporaneo del prestito ponte ai fini del patrimonio per evitare che il collegio sindacale ponga la questione», ha detto il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. Il Tesoro, da quanto trapela, non nominerà nuovi amministratori fino all'assemblea di bilancio, prevista a fine giugno. Ma è tramontata la candidatura di Mario Resca.
Di fatto, è come se il Governo avesse anticipato una ricapitalizzazione con fondi statali, la trasformazione in capitale di un prestito. Un passaggio ardito dal punto di vista legale. Irritata l'Unione europea, che ha opposto un «no commenti», mentre attende spiegazioni sul prestito ponte autorizzato con il decreto legge del 23 aprile del Governo Prodi, concordato con Silvio Berlusconi. Il decreto sul prestito è stato approvato ieri dal Senato, ora passa alla Camera.
Lunedì 26 maggio il consiglio di amministrazione della compagnia, i tre superstiti presieduti dall'avvocato Aristide Police, deve approvare il bilancio 2007. Secondo stime ufficiose, la perdita, già accertata in 364 milioni prima delle tasse, salirà ad almeno 500 milioni. Il cda ha infatti già annunciato una «prevista svalutazione con data contabile al 31 dicembre 2007 sugli aeromobili in flotta per circa 97 milioni», oltre alla «rilevazione delle imposte dell'esercizio».
Sommato alla perdita di 215 milioni del primo trimestre 2008 e a quelle successive, non ancora contabilizzate, il passivo abbatterebbe il patrimonio netto sottozero. Scatterebbe così l'obbligo di convocazione dell'assemblea per un aumento di capitale, secondo l'articolo 2447 del codice civile. Se non provvede il cda, deve farlo il collegio sindacale, presieduto da Enrico Laghi. E, come ogni anno, ci sono ostacoli per la certificazione del bilancio con la Deloitte.
Con la prima trimestrale 2008 il cda ha già comunicato che il patrimonio netto è sceso a 96 milioni per il gruppo e a 196 milioni per Alitalia Spa.
Visto che dopo il ritiro di Air France-Klm, respinta dai sindacati e da Berlusconi, non si concretizzano nuove offerte né l'ipotizzata cordata italiana, il Governo ha usato i 300 milioni versati per sostenere la liquidità, in buona parte già spesi, come fossero capitale. È come se lo Stato fosse risalito dal 49,9% quasi al 100% dell'Alitalia: una ricapitalizzazione impropria, per decreto, come se si trattasse delle Fs, delle Poste o dell'Anas, non di una società quotata in Borsa. All'Economia sperano che prima dell'assemblea arrivi un'offerta per la privatizzazione, da imprenditori italiani, o forse in un ritorno dei francesi.
Il cda Alitalia ha nominato ad interim il segretario generale, Leopoldo Conforti, «responsabile dell'ente risorse umane». Una toppa per rimediare al mancato rinnovo del contratto a Massimo Cestaro, cessato l'8 maggio. Conforti è l'esperto legale che sovrintende ai lavori del cda, che sovente si protraggono fino a mezzanotte.
Lufthansa, nonostante i conti brillanti, ha annunciato la chiusura della filiale di Padova e il licenziamento delle nove impiegate.
(G.D.)
-----------
estratto da qui-------------------
martedì 27 maggio 2008
Alitalia e la finanza pubblica transgenderAppare come un caso di ermafroditismo giuridico-economico la formula utilizzata nell'ultimissimo decreto salvAlitalia secondo la quale il prestito ponte di 300 milioni di euro potrà essere utilizzato per "far fronte alle perdite che comportino una diminuzione del capitale versato e delle riserve al di sotto del livello minimo legale". A seconda delle esigenze di Alitalia, in sostanza, la somma elargita dalle casse pubbliche sembra poter assumere la forma di:
a) finanziamento temporaneo, sottoposto a una precisa scadenza,
o:
b1) aumento di capitale proprio, ma avente anch'esso carattere transitorio, finalizzato al ripianamento di perdite consistenti che metterebbero a repentaglio la continuità aziendale, oppure, in una interpretazione alternativa alla precedente:
b2) ripianamento di perdite finalizzato a non dover abbattere il capitale al di sotto del minimo legale e non dover richiedere il suo reintegro ai soci.
Da qualunque punto di vista la si analizzi, questa formula appare come un istituto giuridico di fantasia che non trova precedenti nella lunga storia dell'uso italiano del diritto pubblico al servizio dello statalismo economico. Ed è tanto più inaccettabile se si considera che influisce su un'azienda organizzata in forma societaria, regolata dal diritto comune e operante in mercati ampiamente liberalizzati.
Tutte le altre imprese soggette al codice civile si finanziano con due sole modalità, capitale di debito e capitale proprio, alimentato dai conferimenti dei soci e dall'accantonamento di utili non distribuiti. Entrambe le tipologie sono soggette a regole precise e l'unico istituto che permette di transitare dall'una all'altra è il prestito obbligazionario convertibile (ma non riconvertibile all'indietro).
L'idea che si possa "far fronte (giuridicamente e non solo finanziariamente) alle perdite che comportino una diminuzione del capitale versato" con capitale di debito fornito transitoriamente per decreto legge dal socio pubblico (tra l'altro non socio unico ma solo di maggioranza relativa) credo non trovi precedenti nella storia del capitalismo occidentale. Sarei davvero stupito se i vettori che competono con Alitalia e non possono godere dei vantaggi derivanti da simili acrobazie giuridiche non presentassero ricorso contro il provvedimento appena emanato così come se esso passasse indenne sotto i riflettori di Bruxelles.
A ben riflettere, e dovendo giustificare l'ingiustificabile, un modo migliore sarebbe quello di sostenere con Bruxelles che il finanziamento di 300 milioni non è un prestito e neppure un aumento di capitale, bensì un indennizzo dello Stato per i danni provocati all'azienda attraverso le interferenze nella gestione, l'assegnazione di obiettivi impropri e la nomina di manager incompetenti tesserati dai partiti. Non un aiuto di Stato, quindi, ma il rimborso per un danno di Stato.
pubblicato da Ugo Arrigo
professore di Politica Economica all'Università di Milano Bicocca
su "Liberalizzazioni" il blog sulla concorrenza dell'Istituto Bruno Leoni di Torino
--------------------
estratto da quiEdited by angelo7878 - 4/6/2008, 14:20