- Oh Loren – il suo tono è stanco, triste, ormai ha perso ogni speranza di avere la figlia che ha sempre sognato, glielo leggo negli occhi e non riesco a sostenerli, affranta dal peso della delusione, dalla rabbia di non poter essere chi sono e dal terrore, di non sapere più chi sono veramente..
E poi vedo mia madre guardarmi con attenzione e con disgusto, lo sguardo fisso sul mio capo, come un automa mi volto verso il lavabo lì accanto e spiazzante la realtà, quando noto una ciocca nivea risaltare sui miei capelli corvini.
Mi chiudo in un ostinato silenzio, anche Eloise vorrebbe pormi domande su domande, ma sono troppo stanca, troppo spaventata, sento i domestici bisbigliare dietro le porte, Molly è stata “congedata” con un lauto compenso e il tacito accordo di tenere la bocca chiusa, mia madre, gli occhi ancora rossi di pianto, mi guardano con disgusto, soffermandosi spesso sulla mia ciocca bianca, è in quell’attimo che decido di chiudere questa vita, scappare, fuggire il più lontano possibile.
III
Boston, 31 ottobre 1918Ho dovuto attendere a lungo, ma erano troppe le cose ancora da sistemare, l’eredità di mio padre, le condoglianze da ricevere, non posso, non potevo far sostenere a mia madre anche il peso di uno scandalo come la mia fuga.. Ma questa sera si, approfitterò della festa di Halloween, saranno in molti per le strade a festeggiare e nessuno baderà a me, nonostante la valigia, che ho nascosto sotto il letto.
Sto ignorando Eloise, che non approva la mia scelta che tenta in ogni suo essere di chiedermi qualcosa su quella giornata, ma io non voglio pensare, non voglio tornare a quelle sensazioni, la mia paura è più forte di qualsiasi altra curiosità, ora voglio solo andarmene da questa casa..
Eppure…eppure mi mancherà, benché vi abbia abitato per troppo poco tempo, non posso fare a meno di sfiorare ogni mobile, di sorridere ai segni sullo stipite, quando da bambina controllavo la mia altezza e là, nell’angolo, ancora i graffi quando avevo fatto cadere la brocca dell’acqua o la mia bambola Betty, piccola e brutta, nel suo vestitino sgualcito, con amore la ripongo nella valigia, non la lascerò qui.
Ormai è tardi via via vengono accesi i lampioni, immobile sosto davanti alla finestra, ho rifiutato la cena, non potrei mangiare, un nodo mi stringe la gola, non piango solo per orgoglio e perché potrei crollare e non riuscire a varcare la soglia..
- Sei sicura della tua decisione? – Eloise legge nella mia mente, o solo nei miei occhi, fissi sulla strada.
- Ti prego non chiedermelo – la voce incrinata, no, no non devo piangere, devo andarmene, devo, qui non c’è posto per me, non posso deludere ogni giorno mia madre, non posso. Grido nella mia mente, mi aggrappo a questi pensieri, le labbra strette, i pugni chiusi contro i gomiti, tutto in me sembra raggomitolarsi su se stesso.
- Dove andremo? –
- I soldi non mancano, ce la caveremo – la mia praticità mi salva dal crollo. Ho ereditato parte dei beni di mio padre, senza dir nulla a mia madre, li ho spostati in un fondo fiduciario, una piccola banca sconosciuta, sto facendo di tutto per non farmi più trovare…con la netta sensazione che non ci sarà nessuno a cercarmi.
E’ buio quando finalmente la vecchia pendola suona la mezzanotte, ho atteso, seduta immobile sul letto, nell’oscurità, le orecchie tese a percepire ogni più piccolo rumore, il cigolio delle scale, alle 21 James ha chiuso la porta d’ingresso, ha controllato ogni singola finestra e si è finalmente ritirato nell’ala della servitù. Nessuno mi avrebbe sentito, eppure ho tardato, solo ora mi alzo, rigida, recupero la valigia, stringendola nervosa, finchè le nocche non impallidiscono, Eloise al mio fianco, si volta con me per un ultimo sguardo e scendo silenziosa.
Conosco ogni scalino, da piccola la notte sgattaiolavo in cucina a rubare qualche biscotto di Mary, la cuoca, avevo imparato ad essere silenziosa, per non svegliare mia madre, che sicuramente si sarebbe infuriata, lei così ferrea nella disciplina, ligia ad ogni regola.
Gli occhi si sono abituati all’oscurità, con la mano soppeso il legno lucido del corrimano, conto mentalmente, destra, destra, sinistra, fino al pianterreno, lascio andare il respiro, solo ora mi sono resa conto di averlo trattenuto, ma il peggio è passato, ora non c’è nulla che possa fermare questa mia scelta.
Eloise si dirige verso l’ingresso, ma mentalmente la richiamo, no non da lì, il portone farebbe troppo rumore, userò la porta sul retro, dal giardino sarà più facile raggiungere poi la strada confondendoci ai pochi passanti che ritornano ora dalle feste, forse con un po di fortuna troverò anche una carrozza.
L’aria fresca mi fa rabbrividire, mi stringo il cappotto addosso, silenziosa, richiudo la porta muovendo pochi passi nel giardino, non resisto, mi volto ed uno sguardo ancora verso la casa che mi ha vista nascere e che ora mi vede fuggire, forse, forse un giorno tornerò, èla muta promessa che faccio al mio cuore.
Eloise mi precede, è già sulla strada, nella mente sento i suoi commenti a quelle strade che non conosce, ai giochi di luce notturni, mi incita a muovermi, che sta passando una carrozza. Corro goffamente, temendo sino all’ultimo d’essere tradita dal cancelletto, che invece si apre silenzioso, ora incurante del ticchettio sul marciapiede, la sinistra ferma sul cappello, svolto l’angolo, in tempo per far cenno alla carrozza.
Solo ora mi rendo conto di non avere un’indirizzo a cui andare, il cocchiere attende silenzioso, ha notato i miei abiti, la zona, sa aspettare senza mettermi in imbarazzo, alla fine gli dico di andare verso il centro di Boston, forse un’idea mi verrà passando per le vie della città.
- E ora che facciamo? – Eloise, al mio fianco osserva le vie illuminate, curiosa, in lei rivedo finalmente l’animo della bambina che era, mentre la bocca rosea dipinge stupore, gioia, nell’oservare un mondo fino ad ora, forse, sconosciuto.
- Non lo so, non so dove andare, - la mia mente febbrile cerca una soluzione, entrando in uno degli alberghi, data l’ora darei sicuramente nell’occhio, una pensione di periferia è fuori discussione, non mi sentirei a mio agio e avrei sicuramente paura. Scruto le vie ambigue e uniformi profilarsi davanti al finestrino, mentre mi lascio scivolare contro il sedile, la valigia abbandonata sul pavimento, l’abito scomposto.
Ligia agli insegnamenti di mia madre, quasi in automatico mi sistemo meglio sul sedile e proprio in quell’attimo la mia mano sfiora qualcosa, abbasso lo sguardo e noto ora un piccolo biglietto da visita, rimasto incastrato tra lo schienale e il sedile.
Anche Eloise mi guarda, ora attenta ai miei movimenti, con delicatezza sfilo il biglietto dal suo nascondiglio, è semplice seppur raffinato nel suo essere, davanti, su uno sfondo nero spicca un numero: 1901 dipinto a caratteri dorati, incuriosita lo giro:
CLUB 1901
Birthday on: 01/01/1901
Residence, circolo letterario, affair & co.
Al vostro servizio- E’ perfetto! – mi grida quasi nella mente Eloise – è il luogo per noi! – mesi più tardi avrò modo di capire quanto queste parole fossero vere, ora titubante osservo il suo volto, pallido nonostante il suo entusiasmo e nuovamente quel piccolo biglietto, distinto busso al cocchiere – Mi porti al 1901 – pregando che lui stesso sappia dove si trovi, non è indicato via o luogo, potrebbe anche essere al di fuori di Boston, invece lo sento replicare – Si, Miss -
Finalmente ho una meta, rincuorata mi appoggio al sedile e ben presto mi abbandono alla fatica, alla tensione della giornata e scivolo in un sogno…
…..Cammino per stanze che non conosco, alle pareti stoffe damascate ricoprono forme che non riesco a definire, sento delle voci, ovattate e con spavento mi accorgo di movimenti proprio dietro questi pesanti tendaggi, come se persone volessero oltrepassare il limbo in cui sono costrette. Fuggo spaventata, sala dopo sala, mentre le voci si fanno più vicina, sovrastate solo dal battito del mio cuore, dal mio respiro, fuggire, fuggire, voglio solo fuggire! Luci, flash, una bambina che ride, una bambola rotta, Eloise morta, ancora il cappio al collo, strani oggetti mi passano accanto, o forse sono io che fuggo da loro, non lo so, continuo a correre, correre, correre. E tutto si ferma di botto. Immobile. Statico. Silenzioso. E improvvisa una voce comincia una litania, una lingua strana, mai sentita, fatta di consonanti, di suoni gutturali, mi attrae, mi spaventa,la stanza, tutto comincia a vorticare attorno a me, mentre il tono cresce, sempre di più, sempre più veloce, sempre di più, di più di più. Fermo! Tutto è nuovamente fermo. Silenzioso, sono in una stanza, piccola, accogliente, un divano di pelle, i broccati di un tenue color panna, il fuoco acceso attira la mia attenzione. Una poltrona, un ragazzo: - Benvenuta Signorina Loren - ….