| Una grande stanza bianca, poche sedie, una vetrata chiusa da una piccola tapparella e la porta antifuoco rossa, chiude fuori i rumori del mondo…ma non importa, non ci sarebbe nessun rumore comunque, ho la testa ovattata, non riesco a pensare, ad essere razionale. Avverto a malapena mia nonna, seduta accanto, di sbieco la osservo, scarmigliata, le mani che tremano, ma sono sterile, sterile come questo posto. Appoggiata al muro, non capisco, non capisco perché non piango, non urlo, non dico niente, sto lì e basta, in attesa, come altri qui con noi, ma le loro facce sono sorridenti, contente, sono in attesa di un futuro, di un corpicino morbido e roseo, da abbracciare, vezzeggiare, mentre noi, attendiamo. Mi siedo, le gambe allungate, ho messo un calzino diverso, ho i capelli intrigati, probabilmente la faccia non è meglio, mezza sconvolta dal sonno rubato, ho un unghia spezzata, la osservo come se fosse l’ottava meraviglia del mondo. Stupidi pensieri. Mia nonna mi posa una mano sulla coscia, un gesto dolce, eppure brucia come fuoco, non resisto mi alzo,la ferisco lo so, ma non riesco, ho bisogno di aria, ho bisogno di scappare, ma devo rimanere..soffoco. Mio padre è fuori, nervoso, una sigaretta dietro l’altra, me l’immagino mentre cammina, un tiro di quel fumo maledetto, un passo, nel freddo di una notte umida, ogni tanto rientra, un’occhiata a vedere se qualcosa è cambiato, ma solo noi sostiamo. In attesa. E nel subbuglio dei miei pensieri, la porta si apre, quattro persone entrano rumorose, eccitate, sorrisi, risatine, genitori, sorelle, fratelli chissà, li guardo, li sondo, li odio mentre si avvicinano alla vetrata e so già che starò male che il dolore, profondo, taciuto arriverà. E quanto la tapparella sale il silenzio ammutolisce i presenti, anche il mio respiro si ferma e poi ecco, un pianto, legger appena appena udibile dietro il vetro spesso, e l’infermiera mostra quel piccolo fagotto, un miscuglio di rosa e un ciuffo nero di capelli morbidi. Bisbigli, complimenti, orgoglio gonfiano il petto. Ed io piango. Perché io non ti ho voluto, all’inizio l’idea mi ha fatto rabbia, per 18 anni sono stata sola e la mia vita sarebbe dovuta cambiare per una volontà non mia, responsabilità, rinunce, sogni rimandati e per qualcosa che non volevo. Non ti ho voluto, ho pianto la notte, perché l’egoismo mi gonfiava il petto, guardavo mia madre con disgusto, 40 anni e di nuovo incinta, ma perché? Non ne avevamo passate già troppe? Non potevamo avere pace invece di cambiar vita di nuovo? Non ti ho voluto…ma ti ho amato nel momento in cui ho cominciato a capire che esistevi, che eri parte di noi, ti ho amato nel momento in cui avevi un nome, un destino, sarei stata la sorella che ho sempre voluto essere.. Ma non è così. Mi maledico per il mio orgoglio, e piango, silenziosa, mentre guardo quel bambino che potresti essere tu, mentre ti urlo, nella mia testa, di perdonare una persona stupida come me, che io ti volevo, che non era vero che ti odiavo, ti avrei amato tantissimo..
La porta rossa si apre cigolando, il lettino si muove lentamente, una confusione di bianco e verde, nei teli asettici, e mia madre che addormentata mi passa accanto, svuotata del suo essere mamma.
Scusami
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