Hokusai Katsushika

« Older   Newer »
  Share  
>VOODOO<
view post Posted on 14/9/2007, 21:08




Katsushika Hokusai è il più celebre e, con Hiroshige, il massimo interprete della stagione più alta dell'incisione giapponese. E' forse l'artista non solo giapponese, ma asiatico più conosciuto nel mondo: Edmond de Goncourt gli dedicò un'ampia e dettagliata monografia già nel 1896.
Hokusai nacque nel 1760 in un sobborgo di Edo, l'antica Tokyo, che, con oltre un milione di abitanti, era allora probabilmente la più popolosa città del mondo. Quando, verso i diciannove anni, poteva considerarsi concluso il suo apprendistato artistico, era fiorente in Giappone l'ukiyo, una cultura subalterna a quella ufficiale, che dava i suoi frutti contemporaneamente nel teatro, nella letteratura e nelle arti visive, e che aveva la singolare peculiarità d'essere destinata a una particolare classe sociale.
La rigida, quasi feudale struttura gerarchica della società giapponese era composta di cinque classi che, in ordine decrescente di dignità, erano quelle dell'aristocrazia, dei guerrieri, degli agricoltori, degli artigiani e dei mercanti; mal tollerata era l'ambizione dell'individuo di passare da una classe all'altra. In fondo alla scala gerarchica del loro mondo, i mercanti si trovarono però, già agli albori del XVIII secolo, a detenere complessivamente un reddito incomparabilmente maggiore rispetto a quello delle classi più elevate.
Un particolare tipo di teatro che univa recitazione, danza e canto, il kabuki, oltre alle case chiuse del quartiere Yoshiwara, erano allora gli svaghi prediletti della classe dei mercanti: ai quali s'aggiunse presto l'ukiyoe ("immagine del mondo che fluttua"), che aveva il compito principale di trasporre in figura quel mondo privo forse di alti ideali, e teso alla gioia e al godimento più effimero.
Hokusai è stato forse il punto più alto dell'ukiyoe, ma non certo il suo iniziatore. Nato già nel'600, l'ukiyoe è stata la forma di autorappresentazione della più elevata società giapponese durante la dinastia Edo, trovando nella letteratura e nel teatro i suoi originari campi d'applicazione. La natura e i sentimenti umani, anche quelli più drammatici e scabrosi, trovano nell'arte ukiyoe una forma di catarsi simile a quella del teatro kabuki, concedendo di trattare anche ciò che le rigide convenzioni morali della società giapponese non avrebbero altrimenti permesso.
Inoltre, l'arte della xilografia, importata tempo addietro dalla Cina e dalla Corea, consentiva tirature altissime di ciascuna immagine (si contano in effetti stampe tirate in molte migliaia di esemplari), disponibili dunque per un elevato numero di potenziali clienti: nel suo passaggio cruciale dal bianco e nero al colore, essa da un canto assunse un'importanza e una dignità pari e fin superiore alla pittura, dall'altro impegnò un numero crescente di specialisti (il disegnatore, l'intagliatore, l'inchiostratore, lo stampatore, infine l'editore, che si dedicava a diffondere quanto più poteva le immagini prodotte).

In questo mondo nacque e si formò Hokusai. Da solo studiò la pittura delle scuole nazionali Kano e Tosa, gli stili cinesi e occidentali.
Dal primo maestro, Katsukawa Shunshou, uno dei principali interpreti della tradizione ukiyoe, ricevette il nome di Katsukawa Shunrou, primo d'una lunga serie di nomi d'arte che Hokusai si diede, nomi sotto i quali egli lavorava per un certo numero di anni, e che infine, ogni volta che si determinava a cambiare direzione di ricerca, lasciava in eredità ad un allievo meritevole.
Quando Shunshou morì, Hokusai seguitò per un poco il genere delle stampe ukiyoe dei suoi esordi, raffigurando soprattutto attori e scene di teatro; poi raccolse l'eredità (e il nome) dell'ultimo grande maestro dello studio di pittura Tawaraya, Sori, e divenne Sori II. Come tale, immaginò personaggi che, memori di Utamaro, si allungano e si flettono in pose improbabili eppure straordinariamente aggraziate, insieme malinconiche e distanti dal mondo, spesso distribuite sul foglio come note su un pentagramma, in cadenze lievi e astratte.
Circa il 1798, infine, egli lasciò ad un allievo (che divenne dunque Sori III) il suo rango di caposcuola nello studio Tawaraya e prese il nome di Hokusai, che significa "studio della stella Polare" e che egli serberà fino al 1810, quand'esso passerà al migliore dei suoi allievi, che assunse il nome di Hokusai II.
Hokusai prende quindi a firmarsi Taito, poi Iitsu, in ultimo Manji, qualche volta però aggiungendo ai nuovi nomi la specificazione "il già Hokusai", come sapesse già che quel nome con il quale egli aveva attinto la piena maturità sarebbe rimasto il suo per sempre.
Questi anni vedono, nell'arte di Hokusai, la nascita di una nuova figura umana, in special modo femminile, ormai lontana da quella serpentina e leggera, elegantissima, di Utamaro: una figura falcata ma possente, quasi monumentale, delineata da un segno talora sommariamente geometrizzante.
Si affacciano di frequente immagini di animali - l'anatra e la carpa, la tartaruga e il leone - in bilico fra un acuminato realismo e una straniante intenzione metamorfica, che poco più tardi sfocerà in una ironia a mezzo fra divertita e grottesca.
Dopo essere stato Taito, a sessant'anni Hokusai prese poi il nome di Iitsu, e come tale pensò al paesaggio riservando ad esso un ruolo nuovo, ora del tutto autonomo, nell'economia dell'immagine: è il momento, questo, dello strappo definitivo operato da Hokusai rispetto alla tradizione iconografica e formale della stampa giapponese.
Nacquero allora alcune delle sue serie più famose, come le Trentasei vedute del monte Fuji, le Mille immagini del mare, o le Vedute insolite di famosi ponti giapponesi, nelle quali l'ambiguità fra spazio narrato e evocato, prospettico e di superficie; la figura umana ostinatamente presente ma come riassorbita e dispersa nel ritmo più vasto della natura; e le forme di quella natura ridotte a sagome, eppur ancora pregne di vita - nelle quali tutto, infine, sembra poter essere una cosa e il suo contrario, in una dialettica infinita che, forse, allude all'eterno.

Come Manji, Hokusai firmò, nel 1834, il primo volume delle Cento vedute del monte Fuji. In calce alle Cento vedute, egli dettò alcune righe che oggi Gian Carlo Calza, professore d'arte dell'Estremo Oriente all'Università di Venezia e uno dei maggiori conoscitori della cultura e dell'arte giapponese, definisce "una sorta di telegrafico testamento spirituale, ma anche programma di ricerca pittorica".
La nota biografica recita:

Già all'età di sei anni ho cominciato a disegnare ogni sorta di cose.
A cinquant'anni avevo già disegnato parecchio, ma niente di tutto quello che ho fatto prima dei miei settant'anni merita veramente che se ne parli.
E' stato all'età di settantatre che ho cominciato a capire la vera forma degli animali, degli insetti e dei pesci e la natura delle piante e degli alberi..
E' evidente perciò che a ottantasei anni avrò fatto via via sempre più progressi e che, a novant'anni, sarò entrato più a fondo nell'essenza dell'arte.
A cento avrò definitivamente raggiunto un livello meraviglioso e, a cento e dieci anni, ogni punto e ogni linea dei miei disegni avrà una sua propria vita.
Vorrei chiedere a coloro che mi sopravviveranno di prendere atto che non ho parlato senza ragione.
Scritto all'età di settantacinque anni da me, un tempo Hokusai, oggi Gokyorojin, il vecchio pazzo per il disegno.

Era tanto maniacalmente impegnato nella comprensione del proprio mestiere che, in punto di morte, avrebbe confidato alla figlia: "Se avessi ancora cinque anni a disposizione, potrei diventare finalmente un pittore". Hokusai sapeva dove voleva arrivare. A noi rimane, dopo la sua morte nel 1849, solo il dubbio di poter leggere, senza tradirlo, il senso delle sue immagini.

image



La grande onda

L'onda presso la costa di Kanagawa è certamente l'opera più universalmente nota di Hokusai, anche se alcuni studiosi sostengono che questa straordinaria xilografia policroma non è delle più tipiche perché, appartenendo al periodo Iitsu, risente degli influssi europei (e forse, proprio per questa ragione, è più apprezzata anche fuori dal Giappone).
In quest'opera, che fa parte della straordinaria serie delle Trentasei vedute del Monte Fuji (1830-1832), ci troviamo dinanzi a un'emozionante interpretazione della realtà che sconfina persino nel paradossale e nel grottesco.
Il dato naturale lo sentiamo, ci sembra rappresentato con assoluta verosomiglianza. Ma sappiamo anche che questa immagine è lontanissima da ogni realismo naturalistico. Fedeltà al reale? Piuttosto fedeltà al senso profondo, ma visibile, del reale.
Un'onda vera viene trasformata dall'alchimia dell'arte, e dello stile, in un segno indiscutibile. Nell'emblema smagliante di ogni altra onda. Un emblema da vedere, e da ritrovare nel pensiero.
Non c'è dubbio che per un visitatore europeo l'approccio all'arte nipponica non può che apparire arduo e l'apprezzamento viziato quasi sempre, o da pregiudizi culturalistici, o da vere e proprie difficoltà "percettive".
In altre parole: quella particolare resa spaziale ("a volo d'uccello", kunimi), quel particolare effetto di "vuoto", di slivellamento ("imballance" secondo Suzuki), quella strana "povertà" (wabi) così tipiche di buona parte dell'arte giapponese, fanno sì che alcune peculiarità delle opere diventino eccezionali, mentre lo sono solo rispetto alla nostra visione del mondo.
Come ogni altro pittore veramente grande, Hokusai ci mostra che vedere vuol dire conoscere. Lo stile, in lui, è una teoria del mondo. La forma di un sapere. La figura, è un concetto incarnato.

fonte scritto: www.nipponico.com

altre opere:



image


image


image


image

image


image

image image


image image


image image


image image

 
Top
Shoijo
view post Posted on 3/12/2007, 20:42




Mi piacciono molto i suoi lavori. Davvero belli....
 
Top
1 replies since 14/9/2007, 21:08   245 views
  Share